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CHE COSA E'?

 

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BANCA DEL TEMPO: RIFLESSIONI

 

Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli, si siederà sul trono della sua gloria. E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi. Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti? Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me. Poi dirà a quelli alla sua sinistra: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli. Perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e non mi avete dato da bere; ero forestiero e non mi avete ospitato, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato. Anch’essi allora risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato o assetato o forestiero o nudo o malato o in carcere e non ti abbiamo assistito? Ma egli risponderà: In verità vi dico: ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l’avete fatto a me. E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna».

La “banca del tempo” è costituita da tutti coloro che nella gestione delle loro giornate e dei loro
impegni decidono liberamente di donare parte del loro tempo, in modo totalmente gratuito e libero, ai
bisogni della propria comunità e degli altri.

Coloro che desiderano iscriversi a questa banca devono prima di tutto trovare il tempo per Dio e per la propria famiglia. Se impegnano bene il tempo, prima di tutto per Dio e per la famiglia, sarà più facile trovare il tempo per la carità.

L’iscrizione ha un costo di  € 1,00 l’anno.

Il manifesto della banca del tempo è l’enciclica di Benedetto XVI “ Deus Caritas est”.

All’origine di tutto sta il fatto che Dio ci ha amati per primo “Noi amiamo, perché egli ci ha amati per primo” (Gv 4,19)

I modelli a cui ispirarsi sono: Cristo – Maria (che si pone al servizio della sua cugina Elisabetta) e tutti i santi tra i quali emergono le sorelle del vangelo Maria e Marta e, per vicinanza temporale, San Pio da Pietrelcina e la Beata Madre Teresa di Calcutta.

(Nel testo “Madre Teresa: lo splendore della carità” di Maria Di Lorenzo” ed. Paoline si legge a pag 36 che quando Madre Teresa ebbe quella che chiamerà “la chiamata nella chiamata” la voce che la interpellava era veramente quella di Gesù  che con tono deciso le disse: “Desidero suore indiane, vittime del mio amore, che siano Maria e Marta, che siano totalmente unite a Me da irradiare il mio amore sulle anime. Desidero suore libere rivestite della Mia povertà della croce, desidero suore obbedienti, rivestite della Mia obbedienza alla croce, desidero suore piene d’amore rivestite della carità della croce. Rifiuterai tu di fare queste cose per me?”

…. Soffrirai, soffrirai moltissimo. Ma ricorda, io sono con te, anche se il mondo intero ti respinge. Ricorda che tu sei soltanto mia e io sono tuo. Non avere paura. Ci sono io. Obbedisci soltanto, obbedisci con molta allegria e prontezza, e senza alcun interrogativo. Non ti lascerò se tu mi obbedirai.”  Si legge ancora a pag. 53:
“Il mistero della visita a Elisabetta e la devozione al cuore immacolato di Maria sono alla base della spiritualità di Madre Teresa.”

Gli aderenti alla banca del tempo si dividono in:

“Inviati” e “volontari”.

L’’Inviato” è colui che fa dipendere il suo servizio dall’adesione a Cristo.

L’inviato vive la vita da cristiano secondo il dettato della Chiesa e, radicato in Cristo, fa scaturire dal rapporto con Lui il motivo e la forza del servizio.

Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri. Gv 15,16-17).

 

La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!» Detto questo, mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. 21Gesù  disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi».Gv. 20, 19-21).

 

“LA CARITÀ DI CRISTO CI SPINGE”  (2Cor. 5,14)


TESTIMONI DELL'AMORE  (Novo millennio ineunte do Giovanni Paolo II nn. 42-43)

42. « Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri » (Gv 13,35). Se abbiamo veramente contemplato il volto di Cristo, carissimi Fratelli e Sorelle, la nostra programmazione pastorale non potrà non ispirarsi al « comandamento nuovo » che egli ci ha dato: «Come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13,34).

È l'altro grande ambito in cui occorrerà esprimere un deciso impegno programmatico, a livello di Chiesa universale e di Chiese particolari: quello della comunione (koinonìa) che incarna e manifesta l'essenza stessa del mistero della Chiesa. La comunione è il frutto e la manifestazione di quell'amore che, sgorgando dal cuore dell'eterno Padre, si riversa in noi attraverso lo Spirito che Gesù ci dona (cfr Rm 5,5), per fare di tutti noi « un cuore solo e un'anima sola » (At 4,32). È realizzando questa comunione di amore che la Chiesa si manifesta come « sacramento », ossia «segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano».26

Le parole del Signore, a questo proposito, sono troppo precise per poterne ridurre la portata. Tante cose, anche nel nuovo secolo, saranno necessarie per il cammino storico della Chiesa; ma se mancherà la carità (agape), tutto sarà inutile. È lo stesso apostolo Paolo a ricordarcelo nell'inno alla carità: se anche parlassimo le lingue degli uomini e degli angeli, e avessimo una fede « da trasportare le montagne », ma poi mancassimo della carità, tutto sarebbe « nulla » (cfr 1 Cor 13,2). La carità è davvero il « cuore » della Chiesa, come aveva ben intuito santa Teresa di Lisieux, che ho voluto proclamare Dottore della Chiesa proprio come esperta della scientia amoris: «Capii che la Chiesa aveva un Cuore e che questo Cuore era acceso d'Amore. Capii che solo l'Amore faceva agire le membra della Chiesa [...] Capii che l'Amore racchiudeva tutte le Vocazioni, che l'Amore era tutto».27

Una spiritualità di comunione

43. Fare della Chiesa la casa e la scuola della comunione: ecco la grande sfida che ci sta davanti nel millennio che inizia, se vogliamo essere fedeli al disegno di Dio e rispondere anche alle attese profonde del mondo. Che cosa significa questo in concreto? Anche qui il discorso potrebbe farsi immediatamente operativo, ma sarebbe sbagliato assecondare simile impulso. Prima di programmare iniziative concrete occorre promuovere una spiritualità della comunione, facendola emergere come principio educativo in tutti i luoghi dove si plasma l'uomo e il cristiano, dove si educano i ministri dell'altare, i consacrati, gli operatori pastorali, dove si costruiscono le famiglie e le comunità. Spiritualità della comunione significa innanzitutto sguardo del cuore portato sul mistero della Trinità che abita in noi, e la cui luce va colta anche sul volto dei fratelli che ci stanno accanto. Spiritualità della comunione significa inoltre capacità di sentire il fratello di fede nell'unità profonda del Corpo mistico, dunque, come « uno che mi appartiene », per saper condividere le sue gioie e le sue sofferenze, per intuire i suoi desideri e prendersi cura dei suoi bisogni, per offrirgli una vera e profonda amicizia. Spiritualità della comunione è pure capacità di vedere innanzitutto ciò che di positivo c'è nell'altro, per accoglierlo e valorizzarlo come dono di Dio: un « dono per me », oltre che per il fratello che lo ha direttamente ricevuto. Spiritualità della comunione è infine saper « fare spazio » al fratello, portando « i pesi gli uni degli altri »
(Gal 6,2) e respingendo le tentazioni egoistiche che continuamente ci insidiano e generano competizione, carrierismo, diffidenza, gelosie. Non ci facciamo illusioni: senza questo cammino spirituale, a ben poco servirebbero gli strumenti esteriori della comunione. Diventerebbero apparati senz'anima, maschere di comunione più che sue vie di espressione e di crescita.

Il programma del cristiano — il programma del buon Samaritano, il programma di Gesù — è « un cuore che vede ». Questo cuore vede dove c'è bisogno di amore e agisce in modo conseguente. (Deus Caritas est 31/B)

Nella parabola del buon Samaritano Gesù non si sofferma a discutere, ma usa espressioni come    “ hai detto bene, fa’ questo e vivrai – va’ e fa’ anche tu lo stesso (Lc 10,25-37).

Lui non può sopportare una scienza o una fede che non diventi amore e servizio fattivo. Gesù non discute, non teorizza. E’ concreto.

 Non c’è servizio senza la Carità in azione, non c’è Carità in azione senza la preghiera attiva.

“Quanto più riceveremo nell’orazione silenziosa tanto più potremo distribuire nella carità attiva.”. “ Se veramente aspiriamo a crescere nell’amore dobbiamo tornare all’ Eucarestia e all’adorazione” (Madre Teresa di Calcutta) Quanto più, nella preghiera silenziosa, ci sentiremo amati, accolti, valorizzati per quello che siamo e perdonati per le nostre fragilità e debolezze, tanto più ameremo, accoglieremo, valorizzeremo gli altri per quello che sono e perdoneremo le loro fragilità e debolezze.

La Carità è un rischio calcolato sulla parola di Cristo che non abbandonerà mai chi è soltanto uno strumento docile e umile del Suo amore proteso a raggiungere ogni uomo.

Si possono svolgere tanti servizi, essere molto attivi ma se manca la comunione e la Carità non serve a nulla. La Carità non punta il dito sul cammino che ancora non si è fatto o non si riesce a fare, ma valorizza e riparte da quel poco di buono che, per grazia di Dio si è già realizzato. La Carità attende con pazienza, secondo i modi e i tempi di Dio, che sia Lui a portare a compimento l’opera buona che ha iniziato in noi. La Carità non si affanna, non si agita, e ci fa affidare totalmente alla Provvidenza del Padre. La Comunione, con la grazia di Dio e con la nostra libertà in azione si costruisce a piccoli passi e non senza difficoltà. Solo la paziente attesa, più che la snervante pretesa, genera frutti di conversione in noi e negli altri.

Benedetto XVI nell’omelia della S. Messa di insediamento il 24 aprile 2005 disse: “Il mondo è redento dalla pazienza di Dio e distrutto dall’impazienza degli uomini”.

 

Siate dunque pazienti, fratelli, fino alla venuta del Signore. Guardate l’agricoltore: egli aspetta pazientemente il prezioso frutto della terra finché abbia ricevuto le piogge d’autunno e le piogge di primavera. Siate pazienti anche voi, rinfrancate i vostri cuori, perché la venuta del Signore è vicina. Non lamentatevi, fratelli, gli uni degli altri, per non essere giudicati; ecco, il giudice è alle porte. Prendete, o fratelli, a modello di sopportazione e di pazienza i profeti che parlano nel nome del Signore. Ecco, noi chiamiamo beati quelli che hanno sopportato con pazienza. Avete udito parlare della pazienza di Giobbe e conoscete la sorte finale che gli riserbò il Signore, perché  il Signore è ricco di misericordia e di compassione. (Gc. 5,7-11)

 

La carità è accoglienza

 

La carità è, per sua natura, inclusiva e non esclusiva. Per vivere la carità inclusiva non devo avere paura dell’altro che irrompe nella mia vita; l’altro mi scomoda, stravolge tutti i miei piani ed affetti, mi provoca, mi costringe a mettermi in gioco. L’altro rischia di essere un problema, e forse una minaccia. Sarebbe meglio se non ci fosse. Ho bisogno di anestetizzarlo, di auto convincermi che la sua presenza non è, perlomeno, opportuna in certi momenti.

Non hanno pensato così gli scribi e i farisei nei confronti di Cristo? Qual è stata la loro conclusione? L’hanno fatto fuori. Ma così hanno forse risolto il problema? No. Cristo è risuscitato e continua ad essere presente provocatoriamente nella nostra vita attraverso l’altro. “Qualunque cosa avrete fatto, anche al più piccolo di questi miei fratelli, l’avrete fatto a me” (Mt. 25,40.45).

L’altro è l’icona di Cristo. E’ il Cristo che oggi bussa alla mia porta. E’ l’incarnazione di Cristo nell’oggi della storia. E’ il Natale attuale. Un Natale di carne che vuole un posto nel presepe della vita. Natale è ogni volta che accolgo l’altro nel nome di Cristo (Madre Teresa di Calcutta).

L’identificazione “Cristo – Eucarestia – l’altro” è la radice della Carità cristiana. Una volta la Beata Madre Teresa ebbe a dire:” Io non toccherei mai un lebbroso, nemmeno per un miliardo di lire. Lo faccio invece volentieri per amore di Dio. Nella messa Gesù ci si presenta sotto le sembianze del pane, mentre nei suburbi vediamo Cristo e lo tocchiamo nei corpi lacerati così come lo vediamo e lo tocchiamo nei bimbi abbandonati.”.

“L’Eucarestia e i poveri per me non sono altro che un unico amore.”.

Nell’altro non si identifica soltanto il povero materiale ma anche il povero spirituale: chi è solo, il portatore di handicap fisico o psichico, i bambini che sono ancora nel grembo materno, quelli sfruttati, violentati, i vecchi abbandonati, i malati, soprattutto quelli terminali.

Sono l’egoismo e la paura a renderci ciechi per non vedere nell’altro Cristo.

Dalla Regola di San Benedetto:                                                                 
Capitolo
LIII - L'accoglienza degli ospiti

1. Tutti gli ospiti che giungono in monastero siano ricevuti come Cristo, poiché un giorno egli dirà: "Sono stato ospite e mi avete accolto"

2. e a tutti si renda il debito onore, ma in modo particolare ai nostri confratelli e ai pellegrini.

3. Quindi, appena viene annunciato l'arrivo di un ospite, il superiore e i monaci gli vadano incontro, manifestandogli in tutti i modi il loro amore;

4. per prima cosa preghino insieme e poi entrino in comunione con lui, scambiandosi la pace.

5. Questo bacio di pace non dev'essere offerto prima della preghiera per evitare le illusioni diaboliche.

6. Nel saluto medesimo si dimostri già una profonda umiltà verso gli ospiti in arrivo o in partenza,

7. adorando in loro, con il capo chino o il corpo prostrato a terra, lo stesso Cristo, che così viene accolto nella comunità.

8. Dopo questo primo ricevimento, gli ospiti siano condotti a pregare e poi il superiore o un monaco da lui designato si siedano insieme con loro.

9. Si legga all'ospite un passo della sacra Scrittura, per sua edificazione, e poi gli si usino tutte le attenzioni che può ispirare un fraterno e rispettoso senso di umanità.

10.  Se non è uno dei giorni in cui il digiuno non può essere violato, il superiore rompa pure il suo digiuno per far compagnia all'ospite,

11.  mentre i fratelli continuino a digiunare come al solito.

12.  L'abate versi personalmente l'acqua sulle mani degli ospiti per la consueta lavanda;

13.  lui stesso, poi, e tutta la comunità lavino i piedi a ciascuno degli ospiti

14.  e al termine di questo fraterno servizio dicano il versetto:   "Abbiamo ricevuto la tua misericordia, o Dio, nel mezzo del tuo Tempio".

15.  Specialmente i poveri e i pellegrini siano accolti con tutto il riguardo e la premura possibile, perché è proprio in loro che si riceve Cristo in modo tutto particolare e, d'altra parte, l'imponenza dei ricchi incute rispetto già di per sé.

16.  La cucina dell'abate e degli ospiti sia a parte, per evitare che i monaci siano disturbati dall'arrivo improvviso degli ospiti, che non mancano mai in monastero.

17.  Il servizio di questa cucina sia affidato annualmente a due fratelli, che sappiano svolgerlo come si deve.

18.  A costoro si diano anche degli aiuti, se ce n'è bisogno, perché servano senza mormorare, ma, a loro volta, quando hanno meno da fare, vadano a lavorare dove li manda l'obbedienza.

19.  E non solo in questo caso, ma nei confronti di tutti i fratelli impegnati in qualche particolare servizio del monastero, si segua un tale principio

20.  e cioè che, se occorre, si concedano loro degli aiuti, mentre, una volta terminato il proprio lavoro, essi devono tenersi disponibili per qualsiasi ordine.

21.  Così pure la foresteria, ossia il locale destinato agli ospiti, sia affidata a un monaco pieno di timor di Dio:

22.  in essa ci siano dei letti forniti di tutto il necessario e la casa di Dio sia governata con saggezza da persone sagge.

23.  Nessuno, poi, a meno che ne abbia ricevuto l'incarico, prenda contatto o si intrattenga con gli ospiti,

24.  ma se qualcuno li incontra o li vede, dopo averli salutati umilmente come abbiamo detto e aver chiesta la benedizione, passi oltre, dichiarando di non avere il permesso di parlare con gli ospiti.   

Se guardiamo con gli occhi di Dio l’altro sarà per noi un dono, una diversità che è ricchezza,

e saremo capaci di guardare oltre ciò che appare. Il vero volto dell’altro è nascosto nel suo  “cuore”.  Benedetto XVI nel messaggio Urbi et Orbi del natale 2006 definisce l’umanità contemporanea “gaudente e disperata" che eleva un’invocazione straziante di aiuto”. Infatti, una persona ricca, elegante, con il sorriso stampato sulle labbra ci sembrerà una persona felice. Ma è proprio vero ciò che appare? E’ tutto oro ciò che luccica? Chi di noi conosce veramente il suo cuore. Potrebbe essere una persona felice, ma anche triste, sola, stanca della vita, disperata, con un grande senso di vuoto. Come facciamo a saperlo? Dobbiamo poter leggere nel suo cuore. Ma siamo sicuri che ci farà entrare nel sacrario della sua intimità? Noi permetteremmo agli altri di conoscerci per quello che realmente siamo dentro?

Lo faremmo solo ad una condizione: se ci sentiamo accolti, amati, non giudicati, accettati e valorizzati per quello che siamo. Solo a chi ci ama siamo disposti a mostrare le nostre ferite occulte e disponibili a farci guarire. Lo stesso vale per gli altri. Ognuno di noi si presenta con una maschera agli altri; oltre la maschera c’è il volto vero. E’ questo volto che dobbiamo incontrare se vogliamo veramente incontrare l’altro.

Per questo Giovanni Paolo II, nel 1985, al convegno della Chiesa italiana a Loreto, disse “ Le comunità cristiane sono chiamate ad essere luoghi in cui l’amore di Dio può essere in qualche moto sperimentato e quasi toccato con mano”; Benedetto XVI nel messaggio Urbi et Orbi del Natale 2006 nel ribadire che Cristo è il salvatore del mondo scrive che la Chiesa in quanto comunità salvata da Lui deve proclamare la Sua salvezza non solo con le parole, ma anche con l’intera vita, dando al mondo la testimonianza di comunità unite e aperte nelle quali regna la fraternità e il perdono, l’accoglienza e il servizio reciproco, la verità, la giustizia e l’amore.

 

Qualunque servizio esige prima una personale tensione alla comunione con quanti svolgono lo stesso o anche altri servizi.

L’amore in azione vissuto per Cristo è la forma più semplice e più incisiva di evangelizzazione.

Diceva Madre Teresa alle sue sorelle: “Noi predichiamo senza proferir parola. La nostra predicazione non consiste in discorsi, ma nel porre in opera l’amore di Cristo e il nostro amore…. Noi predichiamo mediante il nostro servizio…..”

L’amore, il bene è contagioso di per sé. Solo l’amore è credibile.(Von Balthasar)

 

Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna.

E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla. E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per esser bruciato, ma non avessi la carità, niente mi giova. La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non avrà mai fine. Le profezie scompariranno; il dono delle lingue cesserà e la scienza svanirà. (1 Cor. 13, 1-8)

         Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla.(Gv 15,5) – se il Signore non costruisce la casa invano si affaticano i costruttori  (sal. 127,1)– In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l`avete fatto a me. (Mt 25,40) Noi amiamo, perché egli ci ha amati per primo. Se uno dicesse: «Io amo Dio», e odiasse il suo fratello, è un mentitore. Chi, infatti, non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede. Questo è il comandamento che abbiamo da lui: chi ama Dio, ami anche il suo fratello.(1 Gv 4,19-21).

 

LO SCORAGGIAMENTO

L’inviato fa tutto con gioia, non è ricattato dall’esito, non si piange addosso, non si avvita sui problemi, sulle difficoltà e le incomprensioni, non cede allo scoraggiamento, non pretende dagli altri, non perde tempo in sterili discussioni e recriminazioni, ma, libero da tutto, va speditamente avanti appoggiandosi solo a Cristo nell’obbedienza alla Chiesa.

Dio, infatti, dice Madre Teresa, non pretende chi io abbia successo ma che Gli sia fedele.

Dice, inoltre, alle sue sorelle: “Non cedete allo scoraggiamento. Se vi scoraggiate è segno di orgoglio, poiché dimostrate di confidare più del dovuto nelle vostre forze. Non preoccupatevi delle opinioni altrui.” Chi si scoraggia fa il gioco del demonio. Il demonio, infatti, ha un solo obiettivo: non farci crescere nell’amore verso Cristo e verso gli altri e lo fa facendoci convincere che tale amore è impossibile, è, perciò, inutile impegnarsi perché non lo vivremo mai. Similmente chi semina zizzania fa il gioco di satana perché se è vero che dov’è carità e amore lì c’è Dio, è altrettanto vero che dove c’è odio e divisione lì c’è Satana. Diavolo, infatti, dal greco diàbolos significa “calunniatore, colui che divide, colui che si mette di traverso, avversario, accusatore.

Parabola della zizzania

 

     Un’altra parabola espose loro così: «Il regno dei cieli si può paragonare a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. Ma mentre tutti dormivano venne il suo nemico, seminò zizzania in mezzo al grano e se ne andò. Quando poi la messe fiorì e fece frutto, ecco apparve anche la zizzania. Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: Padrone, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene dunque la zizzania? Ed egli rispose loro: Un nemico ha fatto questo. E i servi gli dissero: Vuoi dunque che andiamo a raccoglierla? No, rispose, perché non succeda che, cogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Cogliete prima la zizzania e legatela in fastelli per bruciarla; il grano invece riponetelo nel mio granaio».

 

Spiegazione della parabola della zizzania

 

          Poi Gesù lasciò la folla ed entrò in casa; i suoi discepoli gli si accostarono per dirgli: «Spiegaci la parabola della zizzania nel campo». Ed egli rispose: «Colui che semina il buon seme è il Figlio dell’uomo. Il campo è il mondo. Il seme buono sono i figli del regno; la zizzania sono i figli del maligno, e il nemico che l’ha seminata è il diavolo. La mietitura rappresenta la fine del mondo, e i mietitori sono gli angeli. Come dunque si raccoglie la zizzania e si brucia nel fuoco, così avverrà alla fine del mondo. Il Figlio dell’uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti gli operatori di iniquità e li getteranno nella fornace ardente dove sarà pianto e stridore di denti. Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro. Chi ha orecchi, intenda!

I suoi tesori Cristo li pone in vasi di creta: che pretesa abbiamo noi di trovarli in vasi di cristallo?

L’oro si cerca nel fango. Chi pretende di trovare l’oro senza volersi sporcare le mani non lo troverà mai. Noi dobbiamo sfidare le difficoltà affrontarle, attraversarle e superarle. Mai arrenderci. Non ce la facciamo? Ma perché abbiamo la presunzione di dover fare tutto da soli? Se noi stiamo lavorando per Cristo dubitiamo, forse, che Lui non faccia la sua parte dopo che noi abbiamo fatto la nostra?

E’ nella preghiera che dobbiamo abbandonarci a Lui e confidare nelle Sue promesse.  

Dice San Paolo Ed egli mi ha detto: «Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza». Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. Perciò mi compiaccio nelle mie infermità, negli oltraggi, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: quando sono debole, è allora che sono forte. (2Cor.12,9-10)

Deus Caritas est n. 35 “A volte l'eccesso del bisogno e i limiti del proprio operare potranno esporlo alla tentazione dello scoraggiamento. Ma proprio allora gli sarà d'aiuto il sapere che, in definitiva, egli non è che uno strumento nelle mani del Signore; si libererà così dalla presunzione di dover realizzare, in prima persona e da solo, il necessario miglioramento del mondo. In umiltà farà quello che gli è possibile fare e in umiltà affiderà il resto al Signore. È Dio che governa il mondo, non noi. Noi gli prestiamo il nostro servizio solo per quello che possiamo e finché Egli ce ne dà la forza. Fare, però, quanto ci è possibile con la forza di cui disponiamo, questo è il compito che mantiene il buon servo di Gesù Cristo sempre in movimento: « L'amore del Cristo ci spinge » (2 Cor 5, 14).”

Però noi abbiamo questo tesoro in vasi di creta, perché appaia che questa potenza straordinaria viene da Dio e non da noi. Siamo, infatti, tribolati da ogni parte, ma non schiacciati; siamo sconvolti, ma non disperati; perseguitati, ma non abbandonati; colpiti, ma non uccisi, portando sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo. Sempre infatti, noi che siamo vivi, veniamo esposti alla morte a causa di Gesù, perché anche la vita di Gesù sia manifesta nella nostra carne mortale. Di modo che in noi opera la morte, ma in voi la vita.

          Animati tuttavia da quello stesso spirito di fede di cui sta scritto: Ho creduto, perciò ho parlato, anche noi crediamo e perciò parliamo, convinti che colui che ha risuscitato il Signore Gesù, risusciterà anche noi con Gesù e ci porrà accanto a lui insieme con voi. Tutto infatti è per voi, perché la grazia, ancora più abbondante ad opera di un maggior numero, moltiplichi l’inno di lode alla gloria di Dio. Per questo non ci scoraggiamo, ma se anche il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore si rinnova di giorno in giorno. Infatti il momentaneo, leggero peso della nostra tribolazione, ci procura una quantità smisurata ed eterna di gloria, perché noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili. Le cose visibili sono d’un momento, quelle invisibili sono eterne.(2 Cor. 4, 7-18)

Chi ci separerà dunque dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Proprio come sta scritto:

 Per causa tua siamo messi a morte tutto il giorno  siamo trattati come pecore da macello.

Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore.(Rm.8,35-39)

 Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me. Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma io vi ho scelti dal mondo, per questo il mondo vi odia. Ricordatevi della parola che vi ho detto: Un servo non è più grande del suo padrone. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi; (Gv. 15, 18-20)

 

Beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli.

Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti hanno perseguitato i profeti prima di voi. (Mt. 5, 10-12).

 

         LA GIOIA

Un cuore gioioso e sereno è la testimonianza più evidente della presenza di Cristo in e tra noi.

A proposito della Congregazione da lei fondata Madre Teresa di Calcutta, a chi le chiedeva come facessero le suore a compiere tutta l’opera che giornalmente svolgono, rispose:” Il miracolo non consiste nel fatto che siamo capaci di compiere l’opera che noi svolgiamo . Il miracolo consiste nel fatto che, malgrado ciò, siamo felici.

 

E noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito del Signore.(2Cor 3,18)

 

E’ drammatico sentirsi dire: “Non ho mai incontrato un Vangelo di gioia , né tra i cattolici, né tra i protestanti, né tra gli Ortodossi.” (Pascal Brunckner) o “Mi dovrebbero cantare canti migliori. Dovrebbero avere teste di salvati, perché io possa credere al loro Salvatore. (Nietzsche). E’ un giudizio molto pesante su noi cristiani prendere coscienza che nelle nostre comunità non vi è gioia. Gesù ci ha detto “ E’ dall’amore che vi riconosceranno”(Gv. 13,35) E la traccia dell’amore e la gioia. Paul Claudel scrisse:” Dove più vi gioia , vi è più verità” “Non abbiamo altro dovere che la gioia”.

“Ho cominciato ad esistere per un diluvio di gioia divina” (Stan Rougier)

La gioia è una Persona: Cristo.

E Alexandre Schmemann scrive “Fin dalla nascita il cristianesimo è stato la proclamazione della gioia, della sola gioia possibile sulla terra. Senza la proclamazione di tale gioia, il cristianesimo è incomprensibile. E’ solo come gioia che il cristianesimo ha trionfato nel mondo e ha perduto il mondo quando ha perduto la gioia, quando ha cercato di esserne il testimone. Il contesto fondamentale della Chiesa è la “grande gioia”, da cui tutto il resto, nel cristianesimo, deriva e acquista significato”.

 

   Nel sesto mese, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallegrati Maria, o piena di grazia, il Signore è con te».(Lc. 1,28-30)

 

C’erano in quella regione alcuni pastori che vegliavano di notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò davanti a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande spavento, ma l’angelo disse loro: «Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore. (Lc. 2, 8-11)

 

L’incarnazione, l’Emanuele il “Dio con noi” è la fonte della nostra gioia. E questo mistero permane nel tempo Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”(Mt. 28,20).

L’invito alla gioia da parte di Gesù può essere paragonato ad un comandamento “Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.Gv.15,9-11)

San Paolo invita continuamente alla gioia “Fratelli, state lieti, tendete alla perfezione, fatevi coraggio a vicenda, abbiate gli stessi sentimenti, vivete in pace e il Dio dell’amore e della pace sarà con voi.(2Cor.13,11)

 

Rallegratevi nel Signore, sempre; ve lo ripeto ancora, rallegratevi. La vostra affabilità sia nota a tutti gli uomini. Il Signore è vicino! Non angustiatevi per nulla, ma in ogni necessità esponete a Dio le vostre richieste, con preghiere, suppliche e ringraziamenti; e la pace di Dio, che sorpassa ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e i vostri pensieri in Cristo Gesù.(Fil. 4, 4-7)

I mistici d’Oriente e Occidente hanno sempre potuto dire “Conosci la gioia e conoscerai Dio”

Ed è ancora Nietzsche a dire: “Se Dio esistesse non potrei concepirlo che come un Dio danzante”.

L’inviato della banca del tempo si impegna a vivere momenti formativi con la catechesi in comunità alla partecipazione alla Messa domenicale, a vivere la comunione e la carità verso tutti.

Accetta il parroco come guida personale e della comunità anteponendo sempre le indicazioni che sono date alle proprie idee personali dopo un confronto e un dialogo sempre sereno e cordiale.

Il volontario è colui che a partire da un suo bisogno di mettersi a servizio degli altri trae da questo bisogno la forza e il motivo del servizio.

Il volontario che fa parte della banca del tempo non deve aderire ad ideologie contrarie all’insegnamento della Chiesa e alla morale cattolica.

Una volta un alto funzionario del governo indiano disse a Madre Teresa “Noi e voi svolgiamo la stessa opera sociale. Ma la differenza tra noi e voi e molto grande: Voi lavorate per qualcuno noi lavoriamo per qualcosa.”.

CIRCA IL TEMPO

 E’ possibile pensare di vivere la carità in azione senza mettere in gioco il proprio tempo? No. E’ impossibile. Il tempo è dono di Dio. Pensiamo quanto sia prezioso ogni istante della vita. Quanto daremmo per allungare di qualche istante la vita di ciascuno di noi e dei nostri cari.

 Il problema fondamentale non è, principalmente,  quello di non avere tempo ma di gestirlo male e in modo egoistico. Non c’è carità se non viene messo in gioco il proprio tempo, le proprie energie, il proprio cuore, i propri averi, tutto se stessi.

Benedetto XVI parlando del tempo che i genitori devono dare ai loro figli dice: “dobbiamo dargli qualcosa del nostro tempo, del tempo della nostra vita. Ma proprio questa essenziale “materia prima” della vita – il tempo – sembra scarseggiare sempre di più. Il tempo che abbiamo a disposizione basta appena per la propria vita; come potremmo cederlo, darlo a qualcun altro? Avere tempo e donare tempo – è questo per noi un modo molto concreto per imparare a donare se stessi, a perdersi per trovare se stessi”.(discorso alla Curia Romana il 22 dicembre 2006). Questo concetto del tempo da donare vale sicuramente per ogni atto di carità.

Noi non possiamo sciupare il tempo. Gesù entrando nel tempo lo ha reso un “tempo di salvezza”. Dio, perciò, ci dà il tempo necessario perché non possiamo, piano - piano, convertirci ed essere così pronti quando Lui verrà alla fine della nostra vita.

 Una cosa però non dovete perdere di vista, carissimi: davanti al Signore un giorno è come mille anni e mille anni come un giorno solo. Il Signore non ritarda nell’adempiere la sua promessa, come certuni credono; ma usa pazienza verso di voi, non volendo che alcuno perisca, ma che tutti abbiano modo di pentirsi.(2Pt 3,8-9)

 Non possiamo permetterci di sciuparlo. Il tempo per la nostra salvezza è contato. Esso va vissuto per Dio e  nella carità in azione. Non è impiegando il tempo a parlare della carità che viviamo la carità: non è parlando della carità che si fa la carità. Dovremmo parlare di meno e agire di più. La carità del tempo non possiamo chiederla agli altri se prima non la viviamo noi.

Avverto un senso di fastidio e di insofferenza quando qualcuno mi dice: “don Pasquale devi fare questa cosa o tal’altra? Dovete fare in chiesa tale iniziativa?” “devi fare” “dovete fare” espressioni che mettono in gioco gli altri, il loro tempo, le loro energie e fuori gioco chi le pronunzia. Non accetto che si attenda e si pretenda tutto dagli altri. Sono chiamato a mettermi in gioco in prima persona e non a starmene con le braccia conserte a guardare, e forse criticare, quello che gli altri fanno con i loro sforzi dando anche delle sagge indicazioni di come si potrebbe fare meglio, ma sempre dall’esterno senza mai mettermi in gioco.

Dio ci chiederà conto di come abbiamo vissuto il tempo che ci ha donato. Anche se  tutte le nostre giornate sono piene di piccole o grandi  difficoltà, di intoppi, di contrarietà, di incomprensioni. Non si può e non si deve perdere un’enorme quantità di tempo tra un’arrabbiatura e l’altra, tra una polemica e l’altra. Se siamo uniti a Cristo e viviamo di Lui confidiamogli ogni difficoltà e con la Sua grazia, senza fare drammi, guardiamo avanti compiendo tutto con massima semplicità consapevoli che il lavoro che Cristo ci chiede non ci permette di sciupare il tempo in inutili e sterili discussioni, polemiche, offese, risentimenti, permalosità che finiscono per diventare un alibi per il disimpegno. Il brontolare fa perdere un mucchio di tempo e di energie Perdere tempo a colpevolizzarci per le nostre e altrui mancanze paralizza il nostro impegno per Cristo: è una trappola del demonio!

Quando il peso delle nostre e altrui mancanze ci scoraggia la tentazione di stare lì a perdere tempo è troppo grande. E’ il momento invece di ripartire con slancio. Se non impariamo a farlo possiamo impantanarci e non uscirne più. Le polemiche inutili e le discussioni sterili sono come una ragnatela che ci imbriglia e dalla quale non siamo capaci di liberarci.

Come è doloroso perdere molto tempo mentre gli altri e Cristo stanno aspettando.

Il proprio tempo può essere dedicato:

alla comunità per le pulizie della chiesa,  dei locali e della biancheria – provvedere, a seconda della proprie competenze, a lavori di piccola manutenzione (bricolage – falegname – fabbro – elettricista – idraulico -  muratore -  intonachista – piastrellista – pittore – giardiniere -  ecc….)

alla liturgia attraverso la propria adesione al coro e al servizio liturgico al servizio accoglienza.

Mettere a disposizione le propria professionalità di medico – ingegnere – avvocato – commercialista – informatico – insegnante – organista -  ecc…. )

Dedicare il proprio tempo per opere caritative:

visitare e curare le famiglie povere e bisognose – accudire per brevi periodi occasionali un ammalato o un anziano o una mamma in difficoltà – ascoltare chi ha bisogno di parlare – fare occasionalmente pulizie ad una persona sola e disabile – visitare gli ammalati chi è agli arresti domiciliari ecc… andare a pregare nelle famiglie colpite da un lutto prima de funerale.

Dedicare il tempo alla preghiera.

Dedicare il proprio tempo all’annuncio del vangelo ai piccoli, e ai lontani ecc…

Dedicare il proprio tempo per guidare i ragazzi in attività sportive e ricreative.

Il servizio prestato tramite la banca del tempo è a titolo totalmente gratuito.

Se il servizio viene prestato a terzi dietro compenso durante il tempo di disponibilità

il ricavato, detratte le spese, è devoluto alla comunità.

Chi si assume un impegno già concordato con il parroco provvederà a gestirlo autonomamente e continuativamente facendosi, eventualmente, aiutare da altri.

La disponibilità che implica un rapporto educativo con gli altri (es. i catechisti) deve essere valutata e confermata dal parroco e vissuta in stretta collaborazione con lui.

La banca del tempo è basata sulla dinamica della domanda e offerta: alla banca devono pervengono sia disponibilità che richieste di servizi.

LIBERTA’ INTERIORE: le trappole della libertà interiore

“Ma liberaci dal male” è questa una  delle espressioni del “Padre nostro”, la preghiera che Gesù stesso ci ha insegnato. Chiedergli di liberarci dal male non significa soltanto che il male non ci accada, che Satana non ci tenti, ma anche che il male non ci renda schiavi, non ci schiacci tanto da toglierci, la libertà interiore, la forza, il coraggio, l’energia, il desiderio di andare incontro a Cristo. Ecco le trappole del male.

Prima trappola: noi stessi

Libertà da noi stessi: liberarci da noi stessi significa non bloccarci davanti ai nostri difetti, paure, ansie. Significa avere stima di noi stessi e delle nostre capacità tutto questo non è mancanza di umiltà.

Il sintomo di questo blocco sono le espressioni come “ non ce la faccio” non sono capace” non mi sento”

Seconda trappola: le contrarietà

Libertà dagli avvenimenti e circostanze: Enunciati fondamentali “ tutto concorre al bene di coloro che amano Dio” Rm, 8,28  “Tutto è grazia” (Santa Teresa di Lisieux)  “Tutto quanto succede al di fuori della nostra volontà fa parte di un chiaro e sapiente disegno della provvidenza di Dio” (Sant’Agostino)

Dopo aver fatto tutto ciò che era nelle nostre possibilità dobbiamo accettare che tutto il resto viene dalla Provvidenza di Dio. (San Francesco di Sales).

Il male che mette alla prova la nostra vita è il frutto o della libertà dell’uomo o dell’azione di Satana.

La Provvidenza di Dio non vuole il male, ma proprio perché rispetta la nostra libertà lo permette ma contemporaneamente è capace di trarre il bene dal male.

Tutto ciò che accade, perciò, accettiamolo o come volontà diretta o espressa di Dio oppure come volontà di permissione di Dio, certi che la Sua Provvidenza trasformerà tutto per il nostro bene.

Il Signore, infatti, non ci tenta mai al di là delle nostre forze. Quando la prova è troppo pesante chiediamogli nella preghiera o di alleggerircela o di darci maggiore forza per sopportarla, certi che quella prova, nel Suo disegno provvidenziale è per il nostro bene perché i piani di Dio non sono i nostri piani.

Di fronte alla prova dobbiamo porre in essere due atti:

1)      un atto dell’intelligenza: chiedere al Signore di capire il senso di un avvenimento per il nostro bene di quel momento.

2)      un atto della volontà e del cuore: abbandonarsi alla Sua Provvidenza.

Tutto ciò che la vita, gli altri, gli accadimenti ecc…  prendono di nostro consideriamolo non come un furto (il furto si subisce e fa molto male)  ma una nostra offerta (l’offerta è una scelta libera e ci procura un pace interiore)

Non è quello che accade che deve impadronirsi di noi e travolgerci ma siamo noi che dobbiamo dare un senso a tutto ciò che accade e quando ci è impossibile trovarlo abbandonarci fiduciosi alla Provvidenza di Dio che tutto fa concorrere per il nostro bene.

La realtà non è quasi mai quella che noi vorremmo ma quella che effettivamente ci troviamo a vivere.

Se non vigiliamo essa ci travolge. E’ come un fiume in piena che trascina tutto con sé. Noi non dobbiamo farci travolgere dalla realtà ma affrontarla. E’ come un risalire il fiume andando controcorrente. Non deve essere la realtà a dominarci; dovremo essere noi a affrontarla e dominarla.

Non deve essere la realtà a possederci. Siamo noi che dobbiamo possederla

Dice San Paolo in 2 Cor 22° - 23: “Il mondo, la vita, la morte, il presente, il futuro: tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio”.

Possederemo in modo autentico la realtà se ci lasciamo possedere da Cristo.

La realtà, inoltre, è il luogo in cui Cristo parla a noi. Gli avvenimenti, lieti o tristi che siano, sono sempre parola di Dio. Per cogliere il messaggio di Cristo nella trama degli avvenimenti. Dobbiamo conoscere il linguaggio che Dio usa. Conosciamo il linguaggio di Dio nella preghiera personale, nei Sacramenti, nella Sacra Scrittura, negl’insegnamenti della Chiesa, nella Carità vissuta.

Ciò che impariamo alla scuola di Cristo è la chiave interpretativa della realtà perché Cristo è il senso di tutte le cose. “Tutto è stato fatto per mezzo di Lui, e senza di Lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste.” (Gv 1,3)

Terza trappola: gli altri

Libertà dagli altri

Prima di affrontare questa trappola chiediamoci: è possibile che i pregi siano solo nostri e i difetti solo degli altri? Che noi siamo solo oro e gli altri solo fango? Che noi siamo solo luce e gli altri solo tenebra? Che solo noi siamo sinceri e che tutti gli altri sono falsi? Che solo noi siamo altruisti e gli altri solo egoisti? Ecc….

Ora che abbiamo risposto a queste domande affrontiamo la terza trappola.

Gli altri con i loro difetti, con i loro caratteri, con le loro presunte ipocrisie sono una trappola per la nostra libertà. Premesso che tutto quanto noi pensiamo degli altri sia vero, può essere che i loro problemi mi impediscano di essere libero interiormente? Di volare in alto? Di privarmi di ciò che è importante per la mia vita? Quante volte i difetti di quelli che frequentano la Chiesa diventano un alibi perché io non frequenti? Ma tutto ciò a scapito di chi? Evidentemente di me stesso e di quanti riceverebbero un bene dalla mia persona. Per es.: una persona che non frequenta adducendo come motivazione che chi va in chiesa è un pettegolo ed ipocrita a chi fa del male? A se stesso, prima di tutto, perché si priva di Cristo e agli altri perchè resteranno lontani dalla chiesa  per il cattivo esempio ricevuto.
Ricordiamoci che il nostro male, il male degli altri, le circostanze avverse sono come lacci o macigni che ci legano alla terra e non ci fanno volare verso il cielo. Sono come una rete che ci imprigiona o come le sabbie mobili che ci impediscono di camminare e ci risucchiano sempre di più verso il basso.

Tutto questo è diabolico e senza accorgerci diventiamo, inconsapevolmente, strumento del diavolo.

Corollari

Il perfezionismo

Il perfezionismo è una trappola perché mi fa vivere con la pretesa ansiosa che tutto debba essere perfetto, ma dal momento che ogni persona o situazione non è perfetta ma tende alla perfezione, il perfezionista ne soffre perché non accetta i ritmi del cammino.

Impazienza

L’impazienza consiste nel pretendere di vedere realizzati i nostri progetti subito illudendosi che tutta la realtà sia totalmente dipendente da me. Quando ciò non accade (perché le situazioni sono molto più complesse e la loro realizzazione dipende da più persone che agiscono con la loro libertà, con il loro carattere, con le loro vedute) allora diventiamo isterici, arrabbiati, delusi, stanchi, scoraggiati……

 Valutazione della realtà

Quando giudichiamo noi stessi, le persone, lo svolgersi degli avvenimenti possiamo essere

Ottimisti – pessimisti – realisti.

L’ottimista vede tutto positivo e buono. E’ una visione semplice e bella della realtà, ma si rischia di essere ingenui e imprudenti.

Il pessimista vede tutto nero e negativo. E’ la visione sostanzialmente disastrosa della realtà per  cui tutto è senza via d’uscita.

Il realista vede la realtà così com’è con i suoi lati positivi e quelli negativi, con le sue luci e le sue ombre.

Il cristiano è un realista sostenuto dalla speranza che la realtà, salvata da Cristo, tende alla perfezione e dalla certezza che tutto giungerà a compimento nei tempi e nei modi voluti da Dio. 

Il modo più adeguato di guardare la realtà consiste innanzitutto nel riconoscere tutto il bene e tutti i doni che Cristo fa alla nostra vita: è uno sguardo sostanzialmente positivo. Valorizzare prima di tutto il cammino che è stato fatto.

In seguito prenderemo atto di degli aspetti ancora negativi e del cammino che c’è da fare e con grande fiducia nella Grazia andare avanti senza essere impazienti o perfezionisti.

 

Trova il tempo...

(Madre Teresa di Calcutta)

Trova il tempo di pensare

Trova il tempo di pregare

Trova il tempo di ridere

È la fonte del potere

È il più grande potere sulla Terra

È la musica dell'anima.

Trova il tempo per giocare

Trova il tempo per amare ed essere amato

Trova il tempo di dare

È il segreto dell'eterna giovinezza

È il privilegio dato da Dio

La giornata è troppo corta per essere egoisti.

Trova il tempo di leggere

Trova il tempo di essere amico

Trova il tempo di lavorare

E' la fonte della saggezza

E' la strada della felicità

E' il prezzo del successo.

Trova il tempo di fare la carità

E' la chiave del Paradiso.

 

ISCRIZIONE ALLA BANCA DEL TEMPO

 

La preghiera attiva è amore.

L’amore attivo è servizio.

(Madre Teresa di Calcutta)

 

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